
Illustrazione di Rutha Teame
A fine maggio ha chiuso il CAS Gleno, una delle strutture più longeve e simboliche dell’accoglienza bergamasca.
Vorremmo condividere con voi ciò che è stato attraverso lo sguardo di chi lo ha vissuto.
Un’esperienza tanto importante durata anni che ha dato spazio alla storia e al vissuto di centinaia persone.
Non è facile descrivere cosa sia stato il Gleno per chi non ci è mai entrato.
Centinaia di persone, ognuna con la sua storia, (e che storie), il suo carattere( e che carattere), la sua cultura, a volte con i suoi traumi e i suoi deliri.
Il Gleno è stato famiglia, gioire ed urlare giù dalla scale per qualche documento ottenuto, piangere e consolare per qualche diniego, bersi un the insieme per qualche brutta notizia da casa, fare una passeggiata in giardino per calmare qualche inquietudine.
Il Gleno è stato comunità, pranzare insieme in giardino, cantare in ufficio canzoni da tutto il mondo, aiutarsi a vicenda, organizzare tombole a Natale con regali di fortuna.
Il Gleno è stato rabbia, inadeguatezza, frustrazione, senso dell’abbandono e solitudine.
È stato anche violenza a volte, scazzottamenti e forze dell’ordine.
Il Gleno è stato ridere insieme, un ufficio sempre aperto per ascoltare chi voleva parlare, guardare insieme le foto della famiglia che manca, dei figli lasciati a casa o degli amori nati qui.
Il Gleno è stato lavorare insieme, colleghi PAZZESCHI con cui ho condiviso un pezzo di strada, tosta ma indimenticabile.
È stato anche mille gruppi Whatsapp attivi h24, giorni festivi saltati, emergenze a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Il Gleno è stato anche tapparelle, piastre, bacheche, biciclette, mazzi di chiavi, torte ai compleanni, allarmi antincendio, coperte e lenzuola, firme, piccioni e insettini simpatici, quadri elettrici, bollitori e caffettiere, lucchetti, l’albero del the, l’uomo blatta, la lista wanted, mascherine e tamponi e mille altre cose.
Grazie Dream Team, con voi è stato ancora più bello ♥️
SILVIA RONZONI
Operatrice CAS Gleno

Alcuni anni fa mi sono catapultata in un mondo parallelo a due passi da casa, da quel mondo di media borghesia che da un lato era una zona di confort, dall'altra tanto mi stava stretta.
Entravo in una Cas come referente legale.
Paura di non essere preparata e di non poter essere all'altezza, d'aiuto.
Incontrai Ammar Shawesh che parlava 200 lingue e mi respirava addosso quell'esperienza che mi confortava e mi accompagnava nelle lunghe giornate. (Anche un po' di fancazzitudine ci stava ne!)
70 uomini provenienti dall'Africa subsaharia e dal Pakistan. Come avrebbe fatto una donna medio borghese italiana a fare qualcosa per questa gente e tanto lontana dal mio mondo? La paura aumentava.
Peró ho iniziato a studiare, a leggere trattati in ogni lingua, report internazionali, sentenze su sentenze. Il diritto internazionale mi seguiva persino al bagno.
Io ero quella che avrebbe dovuto ascoltare le loro storie personali, una per una...è così facile.
Valerio Moratti mi regalava pareri sanitari e consulenze su referti da ottenere...
Poi ho conosciuto E. E. che con la sua storia mi ha consegnato il suo delirio; vedeva i morti del suo paese che di giorno e di notte venivano a trovarlo...
Poi ho conosciuto B. D. tutto bruciato sul volto, anche lui mi ha regalato la sua storia. L'ho ascoltato, gli ho raccontato della Convenzione di Ginevra, gli ho parlato del diritto e dei diritti, ma lui era bruciato in volto e io non sapevo come aiutarlo!
Il centro ha chiuso dopo un po' .
Sono stata trasferita al Gleno.
Tre piani giganteschi, 300 uomini accolti ed io ero di nuovo la referente legale. Di nuovo avrei ascoltato centinaia di storie.
Giulia Santinelli , Giuseppe Forciniti, Alice Bendotti, Ahmed Al-Anni erano le persone con cui condividere il viaggio, con cui parlare delle storie che mi venivano consegnate.
Colleghi amati e preziosi, con cui ho condiviso errori; vi ricordate K.S.? Aiuto!!
Abbiamo vissuto rabbia (tanta), passione, impotenza, risate (di brutto). Poi é arrivata la mia amata Claudia Sartini (amore puro).
Insieme abbiamo consegnato Kit d'igiene, terapie, abbiamo gestito l'apocalisse. Nei Cas abbiamo vissuto l'eterogeneitá della sociologia tutta!
Abbiamo.ascoltato lingue di ogni tipo, ci siamo adeguati ad usanze e tradizioni. Abbiamo imparato cosa é un Iftar, cosa é il Banku, cosa é l'hataya e tutto il resto.
Che la Nigeria é una società matriarcale complessa, che le donne non devono toccare il libro sacro dell'islam, che i francofoni hanno una forma mentis e retaggi culturali colonici di un certo tipo, mentre gli anglofoni di un altro. Ho avuto l'onore di lavorare con Omar Ndiaje , un uomo di uno spessore intellettuale senza eguali.
Ho conosciuto T.I. sopravvissuto ad uno dei naufragi più terribili di sempre, mi ha consegnato la pazia in cui si é rifugiato con una tenerezza che porto dentro. Ho conosciuto I.B. che pregando giorno e notte non ci permetteva di entrare nel suo mondo. Ho visto la violenza e la tenerezza degli uomini violentati dentro.
Poi la Dani, sempre attenta, vigile, arguta che mi ha portato col pensiero sempre un po' più in là.
Ora il mio Gleno chiude e il mio cuore, seppur consolato dalla consapevollezza che un'accoglienza giusta sia un diritto, oggi piange un po', perché quel tempo non tornerà più da me. Ma consapevole che fa parte di me.
Che ricchezza e che fortuna abbiamo avuto noi gente che abbiamo immerso le nostre storie nelle loro!
SARA LAZZARONI
Operatrice CAS Gleno

Ode al Gleno dei miei occhi, gigante scrostato a tre piani e scatolone della mia pandemia. Ode all’albero del té, che ha accolto tra le fronde le bustine lanciate da centinaia di consumatori, a eterna testimonianza di infiniti riti di ataya. Ode ai corridoi invasi dagli stendini di bucato e ai bidoni dell’immondizia, che abbiamo messo, tolto, cambiato, coi pedali, senza pedali, col coperchio, senza coperchio, coi sacchi neri, gialli, umidi, col codice a barre, ma sta differenziata proprio non ci entra, al massimo esce con un lancio del bagnoschiuma dal balcone. Facendoci assumere come dato costitutivo le differenze e diventando arte da mettere in mostra!
Ode al lucchetto onnipresente, che è lì a ricordarci che dove finisce la potenza del nostro agire educativo inizia l’autodeterminazione dell’altro a passare oltre i confini. All’orologio del corridoio del piano terra, fermo alle 7:10 di una decade fa a dirci del nessun controllo sul tempo di questa detenzione infinita e imprevedibile che è la richiesta d’asilo. Ode all’agenda formato A3, che per un CAS grande ci vuole un’agenda grande: pesante e colma di post it lei, leggera e colorata la mia mente…
Ode al muro di cartongesso con le palme di tempera e al martello che lo ha abbattuto. Ode, ma mica tanto, alle stanze da quattro persone, che rendono un po’ complicato sottrarsi allo sguardo. Ode ai pavimenti, che si son presi i colpi dei salti con la corda, i prodotti chimici della sanificazione e il mio sedere quando decidevo che i migliori interventi educativi si fanno per terra.
Ode agli scarafaggi, veri protagonisti della vicenda, impossibile non menzionarvi, siete parte di noi! Ode alla nostra giungla guineana, incubo dei manutentori, teatro di orti sociali, piantine di fragole, tornei di bocce e di improvvisati picknick di monoporzioni di plastica con l’agnello buono, capaci di estorcere un preziosissimo grazie e di riportare in ufficio col sorriso anche chi sceglie come registro abituale l’ostilità, lo scudo, il nascondino relazionale.
Prendetevi mattoni tutti ma proprio tutti i momenti che qui non riesco ad elencare. Ciao Gleno, nostro strampalato laboratorio chimico antropologico sulle migrazioni: forse l’ultima struttura è quella da cui si porta via il sapere più autorevole... e quella a cui si sorride più di tutte.
Alle mie strutture, che mi hanno insegnato a togliermi i sandali e ad entrare a piedi nudi di troppa teoria in un altro mondo fatto di posti abbandonati, scartati, non voluti perchè non più performanti, che sono diventati più casa di casa mia. Ode alla materialità imprevedibile e disordinata, quotidiano esercizio di creatività e specchio delle esistenze in deroga alla SCIA e alle certificazioni di conformità dei nostri giovanissimi viandanti dai profili biografici costellati di difficoltà, interruzioni o cortocircuiti nella costruzione di sè e nella relazione con il mondo.
Ai miei operatori sociali, reduci compagni di questi anni di viaggio su e dentro se stessi, erbacce testarde strappate e ricresciute con ostinazione negli interstizi di tutti quelli che venivano dopo gli italiani. A chi con me ha lanciato maiali di gomma, rotto gli schemi, girato prismi, pulito bagni, comprato mutande da donna e pannolini in un’accoglienza maschile, pensato fuori dalla scatola, osservato soluzioni da punti di vista improbabili, lavorato per sperimentazioni aperte, fluide, dense di possibilità e di rischi. A chi si è destreggiato con me tra le blatte e il gregge, tra la contrazione delle risorse e la moltiplicazione degli incarichi, avventurandosi per strade non battute, individuando soluzioni divergenti, poetiche e folli. Voi sapete quanto è stato umanamente sconvolgente e rigenerante, difficilissimo, adrenalinico quello che abbiamo vissuto. Questa è un po’ la storia di come siamo diventati esperti di relazione umana e professionisti della cura, anche di fronte a chi ci ha pensato e voluto meri gestori d’albergo, e invece ha dovuto fare i conti con la nostra convinta luccicanza educativa. Non saprete mai cosa vi siete persi e da quale pazzesca avventura umana vi siete tenuti lontani.
DANIELA TESTA
Coordinatrice CAS Gleno
